La condivido anche qui, perché l'”auto” di cui scrivo nella prima riga non è altro che Ninin, che ci portava dappertutto e che ci serviva da panchina in riva al mare le sere che faceva troppo freddo per star fuori. Grazie anche a Ninin l’avevo conquistata, con lei ero andata a prenderla la prima sera, e il bacio più bello che le abbia mai dato è stato al momento di salutarla una notte, appena scesi dal cinquino col motore ancora acceso, perché doveva essere un bacetto veloce e invece no, sarà durato cinque minuti, avevo lo scarico che mi soffiava sulle gambe ma chissenefrega… Ma tutto il bene nella vita si paga, anche le cose che sembrano gratis, se il prezzo di una scampagnata in 500 è la benzina e l’usura dei pezzi, il prezzo di quel bacio sono il bruciore e il senso di vuoto che ho sentito, anche se è tutto finito da due mesi, nel trovare un suo capello su quella dannata moquette bouclée che tiene così bene le reliquie.
Pulendo nell’auto, d’un tratto, mi pungo:
Anche la vita fa la sua segatura
E dalla nube della moquette scura
Vedo saettare un capello rosso, lungo.
Un capello tuo, certo non strappato,
Forse caduto quando io, delicato,
Ti carezzavo il capo, quasi con paura.
Tutt’intorno piovevano tratti bianchi:
I capelli miei, ben più corti e stanchi.
In quella grandine di polvere e sassolini
Rivedevo noi due, avvinti e vicini.
Fuori era la quiete d’un tardo mattino
Ma io non c’ero più. Su quel tappetino
Rafficavano incontri di sguardi, incroci di mani
Che furono ieri e non saranno nel domani.
E c’era dell’altro, in quel capello perso.
C’era la legge fondante dell’universo
Che il bene richiama il riscontro del male,
E se qualche notte m’ero visto immortale
Fermare il tempo e la luce al culmine
D’un bacio, ora mi bruciava il fulmine.
