Cronaca di un viaggio con una Fiat 500
di Gianluca Fiorentini
Il 29 Giugno 2011 scorrazzavo su e giù per l’incomparabile paesaggio ondulato della val d’Orcia, pervaso da una meravigliosa eccitazione e con la mente in stato di effervescenza che ruminava pensieri colorati. Avevo appena ritirato la 500 rimessa in sesto dall’impagabile Edo dopo che i morsi della ruggine avevano ridotto i fondi a fette di gruviera sbocconcellate in corrispondenza dei passaruota, minando persino la tenuta di strada della stessa auto. Ancora un po’ e mi sarei ritrovato a pedalare come sul trabiccolo dei Flintstones.
Galvanizzato dal fatto di avere di nuovo un’automobile marciante, andai a stanare tra le pieghe del cervello, laddove si era insinuata mesi prima, un’idea di viaggio on the road in solitaria. Nomi di luoghi e città cominciarono a fiorirmi in testa scoppiettando come chicchi di mais sul fuoco; ogni pop una tappa, un’intuizione, una motivazione in più. Stringevo lo sterzo tra le mani e intanto sorridevo con un ghigno sognante guidando in automatico giù verso la Cassia diretto a casa.
Nei giorni successivi traccio un itinerario di massima su una minuscola mappa d’Europa strappata da una vecchia agenda; disegno una spezzata rossa che da Roma punta verso Nord, vira ad Est attraversando l’Europa balcanica fino ad Istanbul, per poi risalire l’ex Yugoslavia su altre strade fino alla costa dalmata.
Sapevo molto poco di quei luoghi. Un film di Kusturica e la musica di Bregovi?, qualche articolo di giornale sulle tensioni interetniche, i servizi televisivi sulla guerra rappresentavano tutto il mio bagaglio di conoscenza. Perciò mi seduceva da matti l’idea di calarmi con tutte e quattro le ruote in una porzione d’Europa ancora in fase di assestamento e di arrivare anche soltanto ad annusare quel profumo di Oriente che mi fa sentire a casa ogni volta che lo respiro.
A distanza di poche settimane ricevo la fiducia di un pugno di aziende che in un modo o nell’altro decidono di sostenere la mia impresa. Consegno la 500 a Vincenzo per una revisione della meccanica. Quel suo «vai tranquillo», pronunciato al termine del lavoro con la consapevolezza di chi sa il fatto suo, sarà la benedizione e il segnale definitivo di via libera. Acquisto una carta stradale in scala 1:800000, affino l’itinerario senza esimerlo dal rimanere sempre e comunque “di massima”, stipo in una scatola di cartone quei pochi ricambi che possiedo di cui peraltro non saprei cosa fare se non trovassi qualcuno in grado di utilizzarli, allestisco una piccola dispensa per i momenti di magra, piego qualche indumento in valigia, sbrigo le ultime incombenze e sono pronto a decollare.
Salgo la rampa del garage con il cuore gonfio di emozioni positive e uno stato d’animo frizzante e volitivo come non succedeva da troppo tempo. Un vento profumato di promesse e possibilità mi spinge a Oriente. Vado bene per Istanbul?
I Roma – Ravenna km. 385
La prima tappa si chiude a Ravenna in un motel accanto all’autostrada, di quelli all’americana dove parcheggi l’auto fuori dalla stanza al piano terreno e di notte senti le auto saettare da lontano.
II Ravenna – Trieste km. 367
A Trieste, piazza dell’Unità d’Italia è aperta sul mare così come Praça do Comércio a Lisbona abbraccia il Tago prossimo alla foce. Osservo il via vai di gente dal tavolino di un bar all’ora dello spritz, poi salgo a San Giusto ad aspettare che il Sole si spenga nel mare sulle note malinconiche di un concerto all’aperto.
III Trieste – Novo Mesto – Zagabria km. 262
Intanto che pasteggio a tonno in scatola e parmigiano durante una sosta mi compiaccio del sistema di copertura del vano posteriore con apertura/chiusura a soffietto che ho escogitato utilizzando un comune parasole da parabrezza, con il duplice scopo di proteggere il bagaglio dal calore e da eventuali occhi malintenzionati. Della serie: le piccole idee che hanno rivoluzionato il modo di viaggiare…
Le immense cubature dei Mercator e degli Spar nelle aree a ridosso del confine sloveno. Stazioni di servizio, capannoni industriali, concessionarie di automobili. Poi la Natura si riprende il suo e si offre meravigliosamente verde allo sguardo del viaggiatore metropolitano sulla quattroruote scoppiettante. Boschi di faggi e carpini come oasi nelle distese infinite di prati verdissimi, morbide dune erbose di un verde brillante dove oziano placide mucche immusonite, campi coltivati, i bassi rilievi montuosi sullo sfondo. Paeselli e borghi privi delle cascate di gerani e petunie alle finestre delle nostre Dolomiti ma per il resto assai simili, un traffico quasi inesistente. La 500 viaggia leggera sull’asfalto verso il traguardo volante dei primi mille chilometri lasciati alle spalle. Odore d’erba appena tagliata, mais e grano sotto un tetto celeste macchiato di bianco; il cambio in folle per far raffreddare il motore, casette e fattorie, strane cappelle votive in mezzo ai campi.
Villaggi talmente silenziosi e deserti da sembrare disabitati precedono Dvor e il gigantesco camino in pietra che la contraddistingue. Una grande X dipinta sull’asfalto e la scritta šola, ovvero scuola, impongono una velocità massima di 30 all’ora e preludono alla teoria di micidiali speedbreakers spacca assi, una costante sulle strade di gran parte dei Paesi balcanici. Ancora borghi e villaggi, orti e vigne. E boschi di tigli, alberi sacri per gli sloveni, sotto la cui chioma di foglie a forma di cuore, si compivano riti sacri, si amministrava la giustizia e si deponevano le offerte sacrificali1.
Il fiume Krka scorre in basso alla mia destra con rapide e ostruzioni naturali. La collina di Trka Gora è coperta da un manto di vigneti. E’ la terra del cvi?ek, un vino rosso delicato dalle tonalità rubino, fresco e vivace al palato. Ne mando giù un bicchiere a Novo Mesto, tanto per ingannare il tempo in attesa che il bicilindrico si sfiammi.
Flirto con un’interessante strada tutta curve che si insinua nel mezzo di un bosco di faggi e ne esce per lambire panorami verdissimi tornando ad affiancare il Krka color smeraldo. Attraverso un ponticello di legno lasciando dietro di me le casette in tinte pastello dalle forme elementari e il campanile barocco di Kostanjevica na Krki, gradevole borgo ritagliato intorno all’ansa del fiume; di lì a pochi chilometri mi immetterò nella A2 e tirerò dritto verso Zagabria.
Una volta ricoverata la 500 nel capannone/officina del parente/fabbro della cortese albergatrice, rinasco sotto una doccia defatigante ed esco a prendere coscienza del luogo.
Tre donne di stazza robusta vestite in modo ordinario, che diresti massaie in libera uscita dopo aver sbrigato le faccende domestiche, sono in realtà tre verificatrici della compagnia dei trasporti pubblici. Sono loro stesse a rivelarmelo alla fermata dell’autobus nel momento in cui chiedo ad una delle tre dove poter acquistare il biglietto. Inaspettatamente, mi spingeranno a salire sull’autobus senza il titolo di viaggio garantendomi la loro “protezione”.
In un paio d’ore mi faccio un’idea della città, mangio qualcosa e ordino una Ozujsko ad uno qualsiasi dei bar senza storia di Tkal?i?eva.
IV Zagabria – Osijek km. 322
Zagabria si allontana negli specchietti con le sue torri-dormitorio di periferia, i chioschi di angurie a bordo strada e il relitto di una fabbrica abbandonata assurto al nuovo status di archeologia industriale senza lasciare una traccia vivida di sé nei miei ricordi. Così come da Brno a Praga anche questo tratto di carreggiata è rivestito con lastre di cemento: un ritmico sobbalzare in prossimità degli spazi di giuntura sarà la colonna sonora del viaggio per decine di chilometri.
Dugo Selo, Bjelovar, Durdevac scivolano via inoffensivi, teste di ponte fra mille altri anonimi paesini che si susseguono via uno l’altro spezzando di continuo il ritmo di marcia.
I fiumi Drava, Danubio e Sava tracciano i confini della Slavonia rispettivamente a Nord, Est e Sud. A mezzodì vi penetro da Ovest e ne attraverso la fertile pianura coltivata a cereali da Virovitica a Osijek, fermandomi soltanto per affondare i denti nella polpa zuccherina di un’anguria.
La folle velocità dei 90 all’ora, mai più raggiunta in seguito, miete decine di micro-vittime alate sul parabrezza che senza troppa compassione laverò via con un colpo di panno alla prima sosta utile.
Mi dispiace per la proprietaria della pensione che avrebbe voluto continuare una conversazione cominciata con un caffè e proseguita a šljivovica, ma preferisco fare due passi in scioltezza sul pavé della tvrda di Osijek, ovvero la fortezza edificata nel 1700 per respingere le velleità conquistatrici dei turchi.
Nella Città Bassa i palazzi art nouveau si affacciano su tranquilli viali di tigli. Su un muro di cinta sono ritratti i volti d‘antan di “velikani znanosti” o, se preferite, di illustri scienziati croati con i rispettivi nomi: Ru?er Boškovi?, Milutin Milankovi?, Andrija Mohorovi?i?, Rudolf Steiner e Nikola Tesla. Se di un paio di loro ne conosco la fama, sugli altri chiederò lumi una volta tornato al mio alloggio.
Tanto per chiudere la giornata scendo al “naviglio” di Osijek lungo un ramo melmoso della Drava; dove si va per lo struscio serale o per una corsetta fiancheggiando brutti condomini in cemento alla base dei quali furoreggia un’infilata di bar US style con verande aperte sul fiume griffati Beck’s e Heineken. Che da queste parti hanno fagocitato le piccole marche di birre locali… (Continua…)
QUI TUTTE LE FOTO! (Fotografie di Gianluca Fiorentini coperte da copyright: ogni diritto è riservato all’autore).
L’avventura del nostro socio è pubblicato anche su 4PiccoleRuote (vedi numero 3 di 4PR 2012): qui possiamo leggere il racconto in versione integrale.